sabato, 12 Aprile 2025
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HomeTecnologia e Scienze“Non siamo programmati per morire”: Ramakrishnan, il Nobel che sfida l’invecchiamento

“Non siamo programmati per morire”: Ramakrishnan, il Nobel che sfida l’invecchiamento

Cosa significa davvero morire? Perché invecchiamo? Possiamo invertire il processo? A queste domande risponde Venkatraman Ramakrishnan, premio Nobel per la chimica nel 2009 e uno dei massimi esperti mondiali di biologia strutturale. Dopo aver studiato per decenni il funzionamento del ribosoma, il “cuore” della sintesi proteica, oggi si concentra sulla comprensione profonda dei processi biologici che portano all’invecchiamento e, infine, alla morte.

In occasione del Milan Longevity Summit 2025, Ramakrishnan ha offerto una lectio magistralis e concesso un’intervista in cui smonta molti luoghi comuni sull’invecchiamento e il concetto stesso di “fine”.

La morte: più complessa di quanto crediamo

Ramakrishnan spiega che la morte biologica non coincide con la cessazione dell’attività di tutte le cellule. Al momento del decesso, molti organi e tessuti continuano a funzionare per un certo tempo. La vera “morte” avviene quando l’organismo perde la capacità di operare come un’unità coerente, cioè quando viene meno l’integrazione tra i sistemi vitali.

Questa distinzione tra morte cellulare e morte dell’individuo è cruciale per comprendere anche come il nostro corpo sia costantemente coinvolto in un ciclo di distruzione e rigenerazione, finché a un certo punto, qualcosa smette di essere riparabile.

Invecchiamento: non una questione di usura

Nel suo nuovo libro Why We Die, Ramakrishnan affronta con lucidità scientifica i meccanismi evolutivi che portano al declino biologico. Contrariamente a quanto si crede, la morte non è programmata dai nostri geni. L’evoluzione non “progetta” la nostra fine, ma si interessa esclusivamente alla nostra capacità di trasmettere i geni. Dopo la riproduzione, la selezione naturale perde interesse.

Inoltre, l’invecchiamento non è semplicemente dovuto all’usura delle cellule. È piuttosto il risultato di un compromesso biologico tra mantenere in vita l’organismo e permetterne la crescita e la riproduzione. Questo spiega perché specie molto diverse possano avere longevità altrettanto differenti.

I miti dell’eterna giovinezza

Uno dei grandi fraintendimenti sulla longevità, secondo Ramakrishnan, è l’idea diffusa che possiamo fermare o invertire l’invecchiamento. Pur non esistendo leggi fisiche che lo impediscano in assoluto, non ci sono evidenze concrete che rendano realistica, almeno nel breve termine, la possibilità di vivere molto più a lungo rispetto a oggi.

Il biologo mette in guardia contro il proliferare di pseudo-scienza e promesse illusorie vendute sotto forma di “anti-aging” o “ringiovanimento biologico”. Il desiderio umano di sfuggire alla morte ci rende vulnerabili a soluzioni che, pur sembrando scientifiche, non hanno basi solide.

Il paradosso evolutivo della longevità

Un aspetto particolarmente interessante del pensiero di Ramakrishnan è l’analisi delle implicazioni sociali di un aumento significativo della durata della vita. Una società composta da individui estremamente longevi, ma con bassa fertilità, rischia di diventare stagnante, priva di rinnovamento generazionale, creatività e impulso al cambiamento.

Citando Mario Vargas Llosa, il premio Nobel sottolinea che la consapevolezza della nostra mortalità è anche ciò che dà senso alla vita. L’idea di vivere in eterno, paradossalmente, potrebbe svuotare di significato tutto ciò che facciamo.

I vermi e il senso della ricerca

Un’intera sezione del suo libro è dedicata ai vermi come modelli di studio dell’invecchiamento. Ramakrishnan spiega che, sebbene lontani dagli esseri umani, gli organismi modello come C. elegans hanno permesso scoperte cruciali. Tuttavia, non tutte le scoperte sono traducibili all’uomo: mutazioni che allungano la vita nei vermi possono causare gravi disfunzioni nell’uomo.

Il punto è: possiamo imparare molto, ma dobbiamo anche sapere dove fermarci. La ricerca deve essere rigorosa, etica e realistica.

🎓 Le 5 verità scientifiche sull’invecchiamento secondo Venkatraman Ramakrishnan

1️⃣ La morte non è programmata geneticamente
L’evoluzione seleziona solo le caratteristiche utili alla riproduzione. Dopo quella fase, la selezione naturale non agisce più con forza.

2️⃣ L’invecchiamento non è solo “usura”
È il risultato di compromessi biologici tra crescita, riparazione e sopravvivenza. Non esiste una “scadenza biologica” predefinita.

3️⃣ Non ci sono prove che si possa invertire l’invecchiamento
La scienza non ha ancora trovato metodi reali per fermare il tempo. Attenzione a mode e pseudoscienza anti-aging.

4️⃣ Vivere più a lungo non è sempre un bene per la società
Un mondo popolato solo da longevi, con bassa natalità, rischia di diventare statico e poco innovativo.

5️⃣ I modelli animali aiutano, ma non tutto è trasferibile all’uomo
Studi su vermi e moscerini sono utili, ma non sempre i risultati valgono anche per la biologia umana.

Conclusione: vivere bene, non vivere per sempre

L’intervento e le riflessioni di Venkatraman Ramakrishnan non offrono false speranze, ma una visione profondamente umana della scienza. Accettare l’invecchiamento e la morte non significa rassegnarsi, ma capire meglio noi stessi e vivere con maggiore consapevolezza.

Forse non siamo destinati a vivere per sempre, ma possiamo vivere meglio se impariamo ad ascoltare ciò che la scienza ci insegna con onestà.

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Salvatore Macrì
Salvatore Macrìhttps://sotutto.it
Amante della tecnologia, della buona musica e della SEO, scrivo articoli per puro divertmento e per delucidare delle tematiche legate alla vita quotidiana per rendere questo mondo meno complicato. Sensibile ai temi ambientali e strenue sostenitore di una "green revolution" che nasca dal basso.
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