Lo spazio attorno alla Terra è un vero e proprio deposito di rifiuti invisibili: satelliti spenti, parti di razzi, frammenti generati da collisioni e dalla degradazione dei materiali. Questi oggetti — seppur piccoli — orbitano a decine di migliaia di chilometri all’ora e rappresentano un rischio crescente per satelliti operativi, stazioni spaziali e futuri voli spaziali.
Una nuova tecnologia appena emersa promette un salto di paradigma: spostare o deorbitare detriti spaziali senza toccarli fisicamente. Il progetto europeo ALBATOR, finanziato dalla Commissione Europea per circa 3,9 milioni €, sta esplorando una tecnica basata su un getto di particelle cariche (ioni) che esercisce una spinta a distanza, modificando l’orbita del detrito senza agganciarlo o manovrarci direttamente.
Perché questa tecnica interessa
Le strategie tradizionali di rimozione (reti, pinze, arpioni) implicano avvicinamento, aggancio e movimento fisico dell’assetto orbital del detrito — operazioni complesse, costose e rischiose.
Invece, la tecnica “senza contatto” proposta dal progetto ALBATOR lavora così: uno “scudo ionico” o navicella guida emette un flusso di ioni direzione verso il detrito; quel flusso trasferisce quantità di moto, producendo una spinta che modifica gradualmente l’orbita dell’oggetto, portandolo eventualmente a rientrare nell’atmosfera o a spostarlo in un’orbita “cimitero”.
Questo metodo riduce drasticamente il rischio di collisione durante il rendez-vous, riduce la necessità di struttura meccanica complessa, ed è potenzialmente scalabile.
Come funziona (in breve)
- Una navicella-manipolatore (o un veicolo “shepherd”) si posiziona vicino al detrito.
- Un propulsore a ioni o plasma genera un getto direzionale verso il corpo inerte.
- L’interazione ione → superficie crea una spinta (per il trasferimento di momento) che modifica l’orbita.
- La navicella compensa la reazione generata dal getto per restare in posizione stabile.
Questo concetto ricorda quanto proposto anni fa col termine “Ion Beam Shepherd”.
Quali vantaggi comporta
- Minore complessità meccanica: niente grappinaggio, barre, reti che si chiudono su movimenti imprevedibili.
- Riduzione del rischio di frammentazione: ogni impatto o aggancio accidentalmente brusco può generare ulteriori detriti — qui l’interazione è “gentile”.
- Scalabilità: teoricamente si possono trattare più detriti, anche di forma irregolare, con una navicella multipla.
- Applicabile in orbite basse (LEO) e magari future orbite più alte: utile per costellazioni, satelliti dismessi, stadi di razzo.
Quali sono le sfide rimaste
- Potenza energetica: generare un getto i ionizzato richiede propulsori ad alta efficienza e potenza.
- Precisione nella mira: il getto deve essere diretto in modo stabile verso il detrito e compensare rotazioni/spin dell’oggetto.
- Gestione della navigazione e controllo dell’interazione: la navicella deve mantenere posizione, evitare collisioni secondarie, e operare in condizioni dinamiche.
- Costi e finanziamento: sperimentazioni in orbita richiedono infrastrutture, lancio, test a lungo termine.
- Normativa e traffico spaziale: spostare detriti significa modificare orbite, potenzialmente creare interferenze e richiedere accordi internazionali.
Implicazioni e cosa cambia per il futuro
Se questa tecnica si dimostrerà efficace, potremmo assistere a:
- Una nuova generazione di “navicelle pulitori” che entrano in orbita per ripulire zone ad alta densità di detriti.
- Un alleggerimento del rischio per nuove costellazioni (come quelle per Internet spaziale) che lanciano migliaia di satelliti.
- Un incremento della sostenibilità spaziale: ogni satellite dovrà forse essere progettato con compatibilità per questa tecnica o per essere “shepherd-ready”.
- Un effetto domino nelle politiche spaziali: l’azione di bonifica orbitale non sarà solo teorica, ma operativa.
Considerazioni finali
Dal mio osservatorio da blogger tecnologico, questa è una di quelle innovazioni che “possono cambiare il gioco” ma che richiedono tempo per maturare.
Mi piace che non sia un gadget, ma un approccio che risponde ad un problema reale e pressante: lo spazio diventa sempre più affollato e non possiamo più ignorarlo.
Se fossi un investitore o un operatore satellitare, punterei su soluzioni “shepherd-ready” già oggi, perché entro pochi anni potrebbero essere normative obbligatorie.
Tuttavia, metterei in chiaro: non è ancora la panacea, non vai a cancellare tutti i detriti con uno schiocco di dita — serve sviluppo, test orbitanti, cooperazione internazionale. Ma la direzione è giusta.
Approfondimenti
- Techno-Science.net – Révolution en orbite : déplacer les débris spatiaux sans les toucher
- Commission européenne – Horizon Europe Project ALBATOR – ALBATOR: Active debris removal with contactless technology based on ion beam shepherd concept
- ESA (European Space Agency) – Clean Space initiative: sustainable space operations and debris removal
- NASA Orbital Debris Program Office – Active debris removal technologies and future missions
- Nature Astronomy (2019) – Ion beam shepherd concept for active debris removal
- ArXiv.org – The Ion Beam Shepherd for Contactless Space Debris Removal
- CNES (Centre National d’Études Spatiales) – Space debris mitigation and sustainable orbit management
- ESA Education Office – ALBATOR project overview for clean orbit operations
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